Articolo a cura di Carlos Flaqué Monllonch per il Magazine Luz y Tinta #20.
Traduzione a cura di Luis Arturo Hernández Basave.
Sito ufficiale per scaricare il magazine: moldeandolaluz.com
“La fotografia è uno spazio nel tempo, un posto in cui si può congelare la realtà e darle diversi sensi, artistici e infiniti. L’immaginazione è quella che segna il ritmo, quella che permette di approfondire questi sensi e incrociarne le dimensioni. Dal realismo più puro si può raggiungere la più assoluta astrazione, il sottile minimalismo o immergersi nelle profondità del subconscio. L’artista è colui che sfida le leggi dell’arte, quello che deve spogliarsi di tutta la logica ermetica e aprire le porte per non rimanere intrappolato nella gravitazione del comune, della noia visiva e, di conseguenza, non può permettersi di rimanere ancorato al terreno. Deve raschiare il guscio e trasgredire, esplorare, interpretare, quella è la chiave del senso fotografico.
Per questo la fotografia è tanto ricca, perché a margine di critiche, tendenze, scuole e temi, l’autore è quello che fissa su carta il proprio destino artistico. Nessun autore è identico e, anche se a volte si riscontrano certi temi simili, c’è sempre una singolarità speciale che li differenzia.
Stefano Bonazzi è un giovane artista emergente e autodidatta, il che significa forza, novità e illusione, capace di acchiapparti nella sua magia iperdimensionale nel solo guardare qualunque dei suoi lavori, tutti quanti pieni di messaggi e riflessioni profonde; il suo lavoro è una sintesi filosofica di un dramma imperituro, che cerca sempre il significato concettuale di ciò che sente e immagina.
Alienazione e vacuità: l’esaurimento dell’essere
L’opera di questo italiano nato e cresciuto a Ferrara, riconduce verso quei processi esistenziali, sull’esaurimento dell’essere, la sua visione può essere più intrepida che raffinata, un incubo che ci fa digerire lentamente i nostri possibili futuri.
La macchina fotografica di Stefano Bonazzi ci immerge in un viaggio apocalittico, attraverso dimensioni impregnate di atmosfere che emanano delle seduttrici tristezze e diverse sensazioni contrastanti. È un magma razionalizzato, che ci fa bollire la psiche come il metallo liquido, vivo, rosso e pulsante.
I suoi bizzarri personaggi ispirano una specie di occultismo futuristico, un’approssimazione anodina relativamente pagana, con delle pennellate statiche che si combinano ad elementi sottilmente grotteschi. La melancolia slegata sembra un’alternativa d’evasione allo spettatore che affronta il risonante archetipo della fine.
Con lui, la Fotografia recita come una psicanalisi, una purga psichica che ci riporta a una realtà cosciente, terribile, come un flash accecante che trascende la sua propria essenza. Sono colpi che penetrano in tessuti diversi, che screpolano mondi frammentati e occulti. La Fotografia è, in questo senso, un terapeuta che si copre di essenze multidimensionali.”
Articolo a cura di Carlos Flaqué Monllonch per il Magazine Luz y Tinta
Traduzione a cura di Luis Arturo Hernández Basave
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